Monti
per circa un mese ha temporeggiato cercando di dar vita ad una tanto mediocre
quando superflua suspance – facendo un paragone con della pessima letteratura,
immaginiamo un men che discreto romanzo giallo le cui già scarse intenzioni
vengono colpite a morte dalla scelta infelice di questo titolo: “Sono stato io, firmato il maggiordomo”,
chiunque quantomeno ne eviterebbe la lettura, ma ricordiamo che in questo paese
crediamo a tutto, e dobbiamo ammettere che il professore veste egregiamente i
panni del cerimoniere. Mentre Monti negava, tentennava surrettiziamente,
lasciava trapelare, il suo entourage - composto da ciellini ambiziosi, membri
austeri e famelici dell’Opus Dei e nati beati della Comunità di Sant’Egidio -
si lambiccava il cervello per dar vita a un simbolo la cui efficacia
comunicativa è paragonabile a quella del valore finanziario di un titolo di
stato greco.
Ma
tutto questo non deve stupire né tanto meno consolare i detrattori del
professore. Il progetto Monti è dipanato su una scala temporale più ampia e ben
più complessa. Dopo gli interventi del suo governo, la cui scelleratezza è ben
mascherata da un pedigree impeccabile e dall’indiscusso appoggio dei poteri
finanziari europei, sarebbe stato piuttosto azzardato credere che la “salita”
in politica del bocconiano si tramutasse come per incanto in un accorato e
felice plebiscito; quindi dobbiamo cercare altrove e con altre metodologie le
reali intenzioni e le effettive volontà del movimento Montiano. Certo dell’indifferenza,
se non del disprezzo, dell’elettorato il senatore a vita inizia una questua di
consensi in ben altri ambienti, forse più potenti ed efficaci. Inizia
innanzitutto ad esser più credibile e solido per le realtà industriali e
finanziarie del paese: Marchionne, Montezemolo, la Marcegaglia , tutti
soggetti notevoli e forse anche poco amati dal perfetto liberismo montiano, in
quanto spesso e volentieri hanno attinto dalle casse dello stato per recitare la
parte dei grandi capitalisti, ma in questo momento si sono rivelati utili e
necessari allo scopo.
In
seconda istanza Monti ha avuto - ed ha - gioco facile in campo politico
riuscendo a raccattare quelle poche personalità rimaste più o meno intatte
sotto le macerie di un ridicolo berlusconismo, che sta solo stridendo
fastidiosamente nel patetico tentativo di imitare un inverosimile canto del
cigno. L’Italia è simile all’arreso Bartleby di Melville, anela per accidia da sempre il centro e la
lista Monti è lì pronta a ruminare e riproporre politicamente la stantia chimera
della moderazione, tanto cara – mi ripeto - ad un elettorato da sempre
indifferente e distante, che ama delegare persino le proprie idee e convinzioni,
la cui odierna rabbia è destinata a dissolversi in fumo.
Infine
Monti - come un novello Don Sturzo, sotto forma di bancomat - ha cercato ed
ottenuto il placet di un Vaticano desideroso di una resurrezione profana nella
politica italiana. Le ingerenze vaticane durante il berlusconismo sono state
deboli ed inefficaci visto il connubio poco credibile con una classe politica
risibile, la cui consistenza era pressoché nulla e vergognosa. Anche qui Monti
ha dovuto sforzarsi poco: il Vaticano pur di liberarsi di Berlusconi avrebbe
accettato persino i bolscevichi e il professore è cascato a fagiolo, come una
benedizione dal cielo insomma.
Questo
movimento quindi fa contenti tutti, moderati, capitani d’industria, massoni,
chiesa, ex fascisti dalla kippah facile per rimettersi a nuovo, anime pie ed
eminenze grigie di movimenti religiosi inquietanti che adesso possono
permettersi di allargare la propria ombra anche in pieno mezzogiorno. Sindona, Marcinkus
e Cuccia sarebbero stati fieri di tutto questo.
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