Il
dormiveglia lega il reale al sogno in un fluire indistinto di immagini e
sensazioni. Gli occhi diventano cieli stanchi, demoni del meriggio, chimere di
carne e stelle. In quel confine Tiresia era
donna e uomo, in vita e nel regno dei morti. La lingua di Babele era il
silenzio, solo dopo Dio li condannò alla lingua. In questo discrimine lancinante
un postribolo di amanti angeliche vola tra le vetrate di una biblioteca e il
vento delle loro ali apre pagine a caso:
“Ma Achille ha reso selvaggio il suo gran cuore nel
petto; crudele! Non gli importa dell’amicizia dei suoi, per cui l’onoravano su
tutti presso le navi; spietato!”
A
nulla servono le parole le preghiere di Aiace… solo il silenzio della tenda, il
desiderio della solitudine inoperosa e la sete della rena di una spiaggia
straniera. Ancora un battito d’ali:
Quello che alloggia al numero 3” , chiese il capocuoco, “e al
quale mando la cena su un vassoio?”
“Proprio lui”, rispose la più giovane e carina delle
cameriere, “non ho mai visto un viaggiatore più selvatico, più sgradevole e più
sprezzante; non mi ha rivolto né uno sguardo né una parola, eppure penso di
valere un complimento, come dicono tutti questi signori!
Quanti
Achille selvatici e sprezzanti, crudeli e spietati... e quanti Aiace indispettiti vedo in
pagine diverse, in tempi diversi, in penne diverse. Quante cameriere supponenti
e stranieri sgradevoli tra le parole di Omero. Atomi di lettere e pensieri,
file genetiche ed ereditarie infinite di inchiostri e incisioni, quadri e
graffi. Don Chisciotte è Paride, Eros il suo Sancho, Dulcinea è Elena, Afrodite
la sua anima. Il dormiveglia mi concede tutto; Andromaca è bruna, madre,
amante, donna, angelo … ma mai dea! ha porpora nei capelli, le lacrime di
Ettore sul suo seno bianco,reso nudo dalle veste strappata. Ha il sangue dello sposo sulle gambe e
la sabbia che gli graffiò la faccia invadente nei sandali. Tutto in quel
confine, tutto in quell’istante infinito che si strappa alla veglia per
affondare nel sonno!
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