E’ ormai da vent’anni che si parla di crisi della sinistra, e
sono vent’anni che la sinistra italiana arranca e sopravvive crogiolandosi
nella sua depressione. Le primarie in vista non aiutano la fobica degente dell’ospedale
politico italiano. Renzi ha una gran voce e una apparente rabbia che sembrano
far reagire questo Bartleby all’italiana. Ma Renzi, volente o nolente, è
cresciuto politicamente nel berlusconismo, nell’era dello slogan bulimico ed
eccesivo, della demagogia spicciola e dozzinale messa in campo per attrarre,
nel contempo, una classe medio-piccola - oramai cancellata - che immaginava di
innalzarsi socialmente, e una classe operaia stanca e delusa dagli settanta,
improvvisamente orfana di quella “base” comunista e sindacale che la
identificava e la riconosceva – e che forse le ha negato il paradiso. Renzi è
ovviamente inconsapevole della sua eredità genetico-politica che formalmente
abiura e combatte – che tutti noi abiuriamo e combattiamo.
Renzi è quindi inadatto… per quanto – forse - armato di buone
intenzioni. E’ inadatto perché demagogo, inadatto perché attacca senza una
linea, inadatto perché cavalca insoddisfazioni senza canalizzarle in un
programma e senza avere il coraggio di una vera scelta forte e per questo
scomoda. Renzi è inadatto perché è un Robespierre edulcorato senza neanche una
rivoluzione alle spalle. Ama tagliar teste perché il patibolo storico è la più
semplice e sbrigativa forma di pubblicità e di consenso in una nazione
esasperata.
Per motivi diametralmente opposti stupisce e delude anche la
candidatura di Tabacci. Bruno Tabacci è una figura autorevole, di specchiata
onestà – sino a prova contraria – , un politico di lungo corso, ma non è di
sinistra. Tabacci è un popolare dal retaggio democristiano, ottimo burocrate ma
non identificabile con il progressismo. L’ex deputato dell’Udc è il sintomo più
evidente della crisi di identità della sinistra italiana: un’accolita di figure
senza una storia comune, tenuta insieme solo dal nome ma dalle istanze caotiche
e confuse. Tabacci – suo malgrado - è la dimostrazione evidente che la sinistra
italiana non ha un’identità reale, ma una sostanza evanescente che tenta di
solidificarsi ovunque trovi consenso. Non contano programmi e intenzioni, non esiste
un’identità ma servono voti, ovunque questi possano nascondersi. Bruno Tabacci
è un ottimo bacino di consensi che apre alla maggioranza centrista e pseudo
cattolica degli aventi diritto.
Bersani sembra, dunque, la sola alternativa possibile; l’unico
candidato in grado di rappresentare insieme tradizione e cambiamento. Sarebbe bello
se fosse così, ma lo stesso Bersani patisce una ventennale crisi di identità,
nella quale pasce e annaspa. Il male di Bersani è la ricerca di una coalizione
nel mare nostrum capriccioso e atavicamente clientelare della nostra politica,
e nel quale l’attuale segretario del Pd rischia di affogare. Bersani non si è
preoccupato di creare un programma alternativo sul quale generare alleanze. Tenta
inutilmente, come tutti gli altri – Vendola e Puppato inclusi –, di costruire
una santa alleanza sulle personalità e non sui programmi. Questa è l’eredità
trasversale lasciata nell’era delle comunicazioni dal berlusconismo:
abbandonare contenuti e idee a favore di personalismi e di “ducismi" addolciti e
moderni; non conta se dietro le persone ci sia il nulla o grandi idee – le cose
si equivalgono – l’importante è che vi sia un’immagine, un totem, un costruito
o reale carisma, ciò che conta è l’impatto mediatico di queste moderne statue di
sale.
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