Approfittare
dei miei neuroni influenzati significa potermi concedere qualche annotazione
surreale, onirica, intima … pressoché folle. E poche cose occupano la mia
fantasia malata più dell’immagine del tarallo. Signori il tarallo è
onomatopeico, simpatico, discreto, poco salato, può avere tracce misurate di
finocchietto, albume d’uovo, peperoncino, sugna, pepe, naspro e semi d’anice. Il
suo nome suscita nel contempo un’originaria e saziante frugalità e indefinite
possibilità di aggettivazioni. Il
tarallo è arabo, centro-meridional-mediorientale, ha venature desertiche,
marziane, solchi, morbide e antiche tracce di precottura – prima poteva
scorrervi acqua. Non è un cerchio
perfetto, eppure ha qualcosa di cosmico: somiglia a galassie, buchi neri,
nebulose… Lo si può spezzare solo in modo sacrale, come il pane dell’Ultima
Cena o, in alternativa, prendendolo a cazzotti sul tavolo facendo schizzare
schegge asciutte in ogni direzione come un piccolo Big Bang! Il Tarallo è
discreto in origine ma sembra un Puple Pums del più raffinato Braque quando è immerso in una caponata d’olio, pomodori
e verdure di contorno. Il tarallo è italiano! Somiglia a una manovra
finanziaria: per quanto vuoi girarlo e rigirarlo il buco non si colma mai… e il
culo a tarallo lo fanno a tutti i cittadini solo per spirito imitativo, per
farci sentire partecipi di questa sobria eccellenza. Il Tarallo è furbo, è
politicante dalla nascita, non ha colore, non ha idee, è sciapo, asciutto e
magro come i personaggi che temeva il Cesare di Shakespeare: è un Cassio, un
Casca… che brandiscono la lama solo in branco! Il tarallo è furbo, non è
nessuno da solo, ma riempie come accompagnamento. Lascia la bocca arida e
triste di sete se non c’è qualcosa che riesce a mandarlo giù. Un vermiglio
vino, un po’ di formaggio, una pera, e se proprio vogliamo strafare possiamo
adagiare il tutto su un tovagliolo di panno a quadri rossi e bianchi! Tutto e niente, vuoto e pieno. Inutile ma saziante, prende acqua nella pancia e
diventa un salvagente. E’ una mazzetta, un favore interessato, una piaggeria. Non
ha senso in sé se non ha scopo altro. Nulla di più italiano di un tarallo! Già le
evoluzioni e digressioni sul tema ci ricordano e ci rimandano alla sua origine. Il
napoletano Roccocò ad esempio; per quanto dolce è cementizio! Ha una superficie
lucida e vulcanica, nel contempo frastagliata e invitante, spigolosa nei
margini ma allettante nel corpo, tagliente e rassicurante allo sguardo; insomma... un ossimoro della pasticceria regionale! E’ manieristico, duro, spacca i denti
e lascia al fondo della lingua un sapore amarognolo mentre in punta sentiamo la
stucchevole esagerazione del miele. Come evoluzione è solo volgarmente più
affettata, provocante come una navigata ed esperta meretrice, piena, maliziosamente materna e giunonica allo sguardo ma di roccia al
tatto e al morso… ti addolcisce in superficie e t’abbandona nella digestione. Anche
questo dolce è una premura interessata, chiede il conto e non solo al dentista,
sembra voglia allattarti nel guardarlo e poi ti ritrovi con una betoniera a
pieno regime in bocca. Anche questo prodotto devozionale del Convento della Maddalena
è improponibile da solo; si bagna generalmente nel Marsala o, volendo, nel Vermouth. La nostra glicemia non ringrazia,
la nostra fame non ha soddisfazione, il nostro stomaco non prova un piacere
eccelso. Ma il Tarallo e i suoi derivati restano lì, come degli Odradek pronti
ad essere riconosciuti e utilizzati nei momenti di magra, di fame spicciola e
frugale. Pronti ad assolvere ad un compito istantaneo ma essenziale, non
soddisfacente ma sbrigativo. Rovistiamo nella dispensa vuota e li troviamo
sempre lì, tristi come la fame ma sornioni si guardano intorno insieme a te e
vedendo il nulla cominciano a prenderti in giro ridendo sotto i loro favoriti al finocchietto, quasi come se volessero dirti: "giri e rigiri sempre da me vieni!"
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