La
noia è uno degli strumenti più efficaci per osservare ma anche uno dei vizi più nefandi. Vedo un
mondo intorno come una schiera di minatori che si affaticano a scavare in un
sottosuolo vuoto e sempreidentico. Non conta, almeno per adesso, il valore
della dissacrazione o quello più lieve della satira: è come se si ripetessero e
si confondessero col tutto; scarti di vapore e olio divertenti di un enorme
macchinario che sbuffa e macina macina senza produrre mai niente. Una catena di
montaggio inutile e sempre accesa dove le nostre attenzioni vengono rivolte
mentre la vita ci viene assassinata alle spalle. guardandoci intorno sentiamo
un calore strano venire col vento ma è solo Roma che brucia per far spazio a un
disegno solo di massima nuovo che farà delle macerie cantieri e dei cantieri
genitori di future macerie. Il sempreuguale è uno dei terrori dell’animo umano,
ognuno ha la presunzione di affrancarsene ma in branco è un rituale tanto
sottile e impercettibile quanto puntuale ed inevitabile.
Ciò
che più mi indigna del gregge dal quale ogni tanto mi allontano non è il suo
numero né la sua povertà quanto la sua testa bassa, la sua rassegnazione e la disperata illusione di credere che quell’erbaggio mortale e venefico che masticano
con lentezza sia il pietanza migliore, il dolore che provo nel guardarli col
muso offrirlo anche ai suoi agnelli nati già sconfitti e con quegli occhi
lucidi che presagiscono il macello. Non avranno mai l’onore di essere elevati
al rango di maglione perché sono troppo teneri e appetitosi. Li sentiremo sotto
Pasqua lamentarsi e stridere per qualche minuto come neonati, ma sarà per pochi istanti.
Di
tutte le interpretazioni possibili dell’eterno ritorno dell’identico l’umano ha
scelto la più ridicola ed ovvia, quella più facilmente interpretabile e
visibile, e cioè la semplice ripetizione convulsa e interminabile della parte
più povera di sé; di tutte le sue materie e i suoi talenti rumina e rigurgita
sempre il terrore della morte per condannarsi ad una generazionale amputazione
dello spirito.... in nome di una masturbazione bulimica che oramai ha battezzato
dandole il nome di Esistenza. Con il sangue tra le mani, lo spirito natalizio
in quel muscolo tragico che è il cuore, che tutti inflazioniamo, ci ostiniamo a
degenerarci con pallidi istanti di consapevolezza che subito ci accingiamo ad
allontanare ravanandoci nell’anima come squallidi esibizionisti. Nel parco del
mondo mostriamo vergogne fieri, turgidi e goduriosi, e in tutto questo la nudità
è la parte più innocente.
A
cosa serve la dissacrazione, l’ironia e la lotta amorevole e agguerrita, la
cultura ostentata come strumento e non come dubbio contro tutto questo? Se sono
tutte, e dico tutte, sotto quell’impermeabile macchiato di raccapriccio? La satira è madre del suo stesso nemico e a sua volta questo Edipo storpio, senza
neanche un nobile accecamento, farà partorire incestuosamente altra satira. In
tutta questa gelida miseria solo il vento caldo che proviene della Suburra
porta un po’ di consolazione.
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