Ballottaggio
tra una tradizione difficile e scomoda e l’insipienza, così si può definire il
confronto tra Bersani e Renzi che deciderà domenica prossima il futuro del
progressismo italiano.
Bersani
cerca di definire un processo di evoluzione nato con la fondazione del Pds di
Occhetto, mentre Renzi volutamente ignora la storia politica di questo Paese
aggrappandosi ad un ideale di Partito Democratico di stampo statunitense che è
valido e ammiccante solo da un punto di vista di immagine. Renzi non è il nuovo
che avanza ma il passato che non si conosce. Renzi non sa a cosa appartiene, e
la sua non è ignoranza ma, appunto, insipienza… e la distinzione non è sottile.
L’insipienza non consiste semplicemente nel non conoscere una determinata cosa
ma è caratterizzata da un preciso atto di volontà, e cioè quello di “non voler”
conoscere qualcosa. Il sindaco di Firenze rifiuta il passato – dove gli appelli
“rottamatori” rappresentano solo un’invenzione di propaganda populistica tanto
grezza quanto efficace – e può permettersi di rifiutarlo grazie al suo
appartenere ad una generazione che non ha saltato a piè pari il suo retaggio. Renzi
è il rappresentante una nuova ma copiosa razza col pedigree tutto da scrivere… i
cui geni hanno provenienze disparate, confuse e indefinibili… dove la
conoscenza della storia delle idee politiche del nostro Paese è fumosa e
labile, composta da una miscellanea di tradizioni
apprese a morsi e messe insieme in un solo piatto masticate e mal digerite. La
nostra generazione è quella che ha conosciuto in termini storici e politici il
revisionismo, che ha visto la borghesizzazione dei refusi anonimi di quella “meglio
gioventù” autodilanianta non dalle ideologie – questo sia ben chiaro – ma dall’esasperazione
ideologica, spesso strumentalizzata e utilizzata, sia in passato per fare i “lavori
sporchi” e sia nel presente per svuotare di ogni contenuto ideologico l’azione politica
contemporanea.
Apparteniamo a quella generazione che ha visto,
senza comprenderla, la veloce e sommaria conversione del comunismo ad uno
pseudoliberalismo progressista che da rosso acceso è divenuto arancio, o che al
massimo si è riparato dietro alla battaglia ambientalista o quella della difesa
dei diritti delle nazioni del terzo mondo; ma solo pochi si sono poi realmente
votati a queste impegnative scelte ideologiche: la maggior parte di noi se ne è
sempre semplicemente vestita per “apparire” comunque – in un modo indolore e
conveniente - comunista (di Gino Strada, di medici senza frontiere, di
attivisti pacifisti, di insegnanti anonimi e convinti che abbandonano tutto per
le loro idee non è affatto pieno il mondo; ma tutti ci identifichiamo in questa
minoranza che è sempre nel giusto per sentirci un po’ i salvatori del mondo) . Ecco
cosa è Matteo Renzi, egli è tutto questo e “niente di tutto questo”. Egli è un
confuso che gradisce ignorare perché trova più conveniente un “ruolo” rispetto ad
una posizione; e in questo ultimo ma significativo aspetto il giovane candidato
rientra a pieno diritto nella tradizione politica italiana, ricca di bocca ma
povera di sostanza.
Bersani,
au contraire, da favorito si ritrova ad esser costretto a far convivere e a far
conciliare troppi aspetti che lo possono portare ad una paralisi in termini di azione di governo. Il
segretario del Pd deve guardare al suo passato e, contemporaneamente,
affrancarsene; Bersani deve cercare alleanze un po’ dappertutto: deve mantenere
e difendere un’identità facendo comunque l’occhiolino ai moderati, ai centristi
dichiarati e capricciosi, ai cattolici riformisti e invadenti. Il suo compito
è pericoloso nel “Paese delle Poltrone”,
dei clientelismi radicati, dei favori necessari. Bersani rischia di
trasformarsi in un impotente politico che ha tra le mani uno strumento tanto
enorme quanto inutile perché macchinoso e malfunzionante.
Comunque
vada domenica ci ritroveremo a fare i conti con un futuro difficile e tutto da
riscrivere: sia che vincerà l’insipienza di comodo o la tradizione “zavorra”
sarà sempre un’incognita.
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