Di tutti i dolori facciam medaglie, di tutti gli uomini
confuse solitudini. Non ho una bocca né
una penna o croci di vetro da frantumare per camminarci sopra. A cosa serve l’altro
se non mi torna utile? Se non per far bella posta dei miei giudizi sputati
sulla sua anima senza che io davvero non la trapassi fino in fondo con ogni parte di me?
Almeno il circo è fatto di signori, cilindri
lucidi, paglia, sterco, angeli e miracoli... ma non piace più; i pagliacci
dobbiamo truccarli noi; casomai di notte, mentre dormono, mentre non sanno, quando non
possono decidere se vogliono un naso rosso o una lacrima nera sotto un occhio. Dovevo
aspettare la fame della solitudine per provare l’appetito dell’autenticità; l’orlo
della pazzia fa lucidi i nervi tesi… e prima di volare nel vuoto ti guardi
intorno e ti lasci superare da esseri spogli… vestiti a puntino con le pezze
grigie delle loro ossessioni. Manichini
galvanici che hanno una sola direzione. Sbattono contro muri, riassestano la
testa… un passo indietro e ancora il muro! E ancora e ancora. Con lo scafandro
dell’amore e della vita biascicano tra la ventura e il fango chiamandolo cielo.
Una penna di tortora tra i capelli e
piccole dita per ali e un appunto preso veloce a marginalia di un libro: “chiudere
gli occhi per salvarsi da tutto questo.” Secoli per soffocare la poesia, un istante
per fecondare un animale. Figli come soldati, come lupi da liberare nel mondo. Benedetti con la bile, battezzati coi denti digrignanti e la rabbia in corpo. L’uomo
ha la salvezza tra le cosce e spinge come un ossesso sudato credendo di arrivare al
cielo. Mi riscaldo le mani sfregandole e medito di assassinare l’asfalto affogandolo
nelle lacrime... ma niente consola. Il passo pesante di chi ho attorno mi ricorda
che esser vivi da queste parti è ritronarsi sino a sentirsi traboccare di carne
e sangue. Fottere, che sia la vita o la corteccia liscia di un corpo, ma fottere!
Rivendicare la vita dalla vita perché in fondo siamo già morti. La presunzione
di precipitare nel nulla urlando di sfuggirgli, fino a ché non ha inghiottito anche
la nostra voce. E allora non resta che provare a sentirsi vivi in un groviglio
di dolori vestiti da spose pronte da baciare sull’altare, di cicatrici cucite a
merletto da mostrare come un legionario in pensione. Soldati reclutati per la guerra della vita che
hanno percorso le radure del sacrificio per disegnare mappe con le loro
delusioni mascherate da vanti. E io mi incanto accarezzando un cielo di velluto
gelido. Ho avuto in eredità cristalli frantumati, una penna che non scrive e le
prime ore del pomeriggio.
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