
“Miti
nuovi nascono sotto ciascuno dei nostri passi.” Così esordiva l’ultimo dei
primi Flâneur. E diciamocelo, i francesi sanno scrivere, ci fa incazzare
ma è così. Sarà l’eredità dell’alessandrino ma ci sanno fare. E si sono sempre impegnati
in geografie nuove strizzando comunque l’occhio a Lamartine. Topografia
incessante anche delle assenze. Tutti vogliono lasciare orme, segni, scoprire
significa “topografare”; battezzare sverginando. Nominare dissacrando! Non si è
fatto un vero passo in radure nuove se, in
itinere, non si sono umiliate sterpi sotto i nostri piedi. E’ l’evolversi di quell’intimo senso di conquista che
provavamo nel dominare pozzanghere di fango marchiandole con le nostre orme ! Persino
lasciare un vuoto è lasciare il segno! In
questo… forse è stato più originale Jack lo Squartatore! Al di là di qualsiasi
etica è piuttosto stancante l’ossessiva idea di lasciare qualcosa; e non è
esattamente il sentire del violinista
pazzo. Mellonta tauta! Che non è
esattamente pensare che basta un eone, foss’anche d’eterno ritorno, a cancellare ogni sforzo di presenza di segni e
memorie. “I respiri non si lasciano condensare in conclusioni “ scriveva
Canetti, e i passi non si pietrificano negli arrivi molto più umilmente scrivo
io. Nichilismo? Parola grossa per respiri e passi; non voglio scomodare eterni
carcerati, coscienti e lucidi suicidi o un mal compreso Friedrich…
forse più un anonimo scrittore di haiku che tralascia il senso al non detto. Persino
i pontefici conoscono il peso di questo termine abusato e preferiscono accontentarsi di un termine più abbordabile… “relativismo”.
Appartiene più alla povertà del nostro rimuginare, le nostre menti analgesiche
lo capiscono meglio. Spesso si sottovaluta il primato di due millenni di
propaganda sempre efficace, tanto da portare a sé – inconsapevolmente - anche i
più accaniti detrattori! E senza rendersene conto sono spesso proprio i nemici
più acerrimi a spaccarsi i denti sui sagrati delle chiese credendo sia sangue
donato alla ribellione e all’indipendenza delle idee. Almeno nella Mancia si
combatteva conto i mulini a vento. Apostolato in nome del niente ma sempre
apostolato.
Ecco i nostri passi con la presunzione del marchio a fuoco. L’illusoria
vittoria sulla morte delle nostre azioni. Il disperante graffiare alle porte
dell’eternità. Questa ossessione non ha pietà, l’orma vale più del cadavere che
calpesta.
Vedo
intorno a me un flacone mezzo pieno, due bicchieri di carta, di cui uno è stato
tramutato in posacenere, una bottiglia d’acqua – sorgente in pet – e accatastate
due pile di libri semi aperti, un mare di appunti e la certezza che l’Ulysses non
si offende accanto ai Meridiani di Stevenson. Lascio aperti oceani, curo le
patologie di Mann con la tubercolosi di Kafka. Sono porte che apro per non
essere solo dove mi trovo. E in cima il
Labirinto di Bataille - e se mi va di lusso non capirò mai del tutto. Non
cammino su cieli inventati, né cerco beatitudini all’ingrosso. Vorrei solo che
i miei passi avessero una leggerezza che li affranchi dalle orme, che sappiano
percorrere senza tracciare sentieri. Che tutto rimanga così com’è, e che la
scoperta non sia conquista.
“Ma il vuoto che incontra è anche la nudità
che egli sposa IN QUANTO E’ UN MOSTRO capace di assumersi leggermente molti
crimini, e non è più come il toro giocattolo del nulla perché il nulla stesso è
il suo giocattolo: non vi si inabissa che per lacerarlo e per illuminare la
notte, un istante, un riso immenso – al quale non sarebbe mai pervenuto se
questo nulla non si aprisse totalmente sotto i suoi piedi.” (G. Bataille, Il
Labirinto)
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