Rivoli di fiele fanno sordi i miei passi
sdruccioli. Mi giro e se sorrido graffio sguardi che danno la caccia a felicità
smarrite. Ho pena delle caparbietà di principio, delle ferite mostrate come medaglie, dei
dolori cercati. Mi manca lo stupore, il gelo improvviso che fa viva la vita. Non
nascondo questa assenza né faccio poesia con le intenzioni di chi la invoca
senza averla mai incrociata. Troppi si aprono a morsi il cuore per darne merito
alla vita. Mi altero solo di me stesso e non ho tempo per gli odi dei grigi. Non
voglio il loro colore. Non ingoio la nebbia che spira dalla loro bocca. In me c’è
l’antro di un rigattiere: vedo un pallone sospeso da vecchie bretelle
arrugginite, pezzi di motore, due madonnine di gesso, l’icona di San Bartolomeo
posata su un merletto giallo e polveroso. Metto ordine e qualcosa di
dimenticato spunta sempre fuori… mi fermo e mi ci innamoro, gli cerco un posto
e lascio tutto il resto. Cado in esilio da attenzione e stropiccio gli occhi
ogni volta che metto il naso fuori… la luce del giorno mi stordisce di
pienezza. E i grigi intanto hanno felici nausee e stanchezze, si lamentano
orgogliosi della fatica del vivere, come se nessuno non sapesse che senza
morirebbero. Se si fermassero la coscienza inizierebbe a far domande, vedrebbero il loro filo delle Parche,
sentirebbero la eco lontana dei canti delle Sirene che vollero ignorare. A
testa in giù nella giara vuota cercano ciò che sanno di avere nelle tasche… si
agitano, si agitano finché non scivola furtivo tintinnando nel fondo di creta
spaccata… un mugolio liberatorio e infine orgogliosi e soddisfatti. Ora guardo
nella mia baracca un vecchio bastone da passeggio e in cima ha la testa d’argento
di un cane. Ha troppi graffi e un alone
di vecchio sul muso. Quanti passi pesanti ha sostenuto a quante porte ha
bussato … e quanti guanti tenuti stretti in primavera gli hanno accarezzato la
testa. Quanto fa paura la nostalgia! Come è temuto il rimpianto. Viviamo fuori,
non vogliamo guardare le ferite dei giorni e preferiamo coprirle coi tagli dell’artificio.
Quanti Sisifo illusi d’aver giocato Tanato baciano i piedi indifferenti di Zeus quasi in cima. Tutto
daccapo!
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