La
buona regola è divenuta solo sinonimo di soddisfacente transito intestinale, il
ché avrebbe un valore solo se appartenessimo alle numerose colonie di flore
batteriche che le pubblicità ci invitano a provare. Enterogermogliando qua e la
sul web, tra le varie trasmissioni di approfondimento e gli innumerevoli
telegiornali, inizio a provare un fastidio per l’appunto "di transito": qualcosa
che somiglia vagamente ad una infiammazione pungente, un attacco leggero d’ansia
commisto ad un senso di nausea aorgica, e una percezione di abisso perenne. Questo
dolore - che mi spinge inevitabilmente ad evacuare nei classici - mi culla in una
rassegnazione caotica; pensiamo ai nostri profili Facebook, Twitter, al nostro
modo di comunicare. Ebbene, come un blob impazzito senza filo conduttore,
spaziamo dal politico al comico, dalla commemorazione di questo o quel
personaggio, alla foto del gattino tenero con una nonclalanche degna della più
gasata Barbara d’Urso – la quale ha la straordinaria capacità di passare dalla
subornazione più indignata e lacrimevole alla risata più sguaiata con un' indifferenza mercenaria paragonabile solo a quella che il parlamento ha
manifestato sentenziando che una minorenne marocchina è “di certo” la nipote
del presidente egiziano – qui la metafora potrebbe toccare vette altissime, un
documento istituzionale approvato e votato da un parlamento afferma con
certezza un falso riconosciuto e palese, ma l’autorità istituzionale può
permettersi tutt'ora di escludere e di non tener conto della verità. Ma questi sono i grandi numeri, ciò che fa più
rumore e ci affranca, come dire: ciò che noi vediamo di distorto all'esterno per non guardare le “nostre medie dimensioni”. Noi non legiferiamo – beh neanche
il governo –, non facciamo trasmissioni televisive, eppure comunichiamo: con mezzi
di una potenza inconcepibile rispetto al passato, abbiamo la capacità di
comunicare singolarmente con centinaia, forse migliaia, di persone; e il nostro
modo di comunicare a cosa somiglia? Ad un filo composto di infiniti materiali
diversi tenuto insieme solo dal collante del nostro spazio. Il luogo virtuale è
letteralmente “sito”, c’è … il nostro spazio è dato, ma le nostre comunicazioni
farebbero impallidire persino i quadri di Grozs. “Espletiamo” una serie
indefinita di notizie, curiosità, opinioni, stati d’animo, accadimenti che ci
danno la sensazione di possedere una libertà infinita, incommensurabile… eppure
dall’alto percepiamo un brusio di fondo, un rumore simile al fastidioso
formicolio di un vecchio televisore non sintonizzato, e in questo Caos corrono
tutte le frasi, i commenti, le foto. Il mio intestino patrocina il mio cervello
e questo duodenale flusso di cose graffia le pareti irritate della mia povera
intelligenza – già di suo barcollante. Non siamo dissimili da un telegiornale
che passa dall’efferato omicidio ai nuovi modelli primavera-estate di Milano e
Parigi – il quale annuncia quantomeno uno stacco con il famoso: “ora passiamo”.
Neanche il tempo di digerire il serial killer, le cronache di guerra dall’altro
capo del mondo, l’amante geloso ossessionato e omicida, il supereroe dei
colletti bianchi che come Sisifo porta su si sé il peso dell’economia (Monti),
che si passa al nuovo guinness dei primati sul numero idioti incatramati in una
cabina telefonica, sul nuovo tatuaggio a forma di patacca sulla patacca della
showgirl. Qui si sfata il mito del controllo globale; più che soggetti
monitorati da una volontà esterna siamo più simili a cellule impazzite di una
neoplasia generalizzata. Non è il ciò che si dice ad essere controllato ma la
certezza che il detto “anche scomodo” si perda nel rumore di fondo generale,
che abbia una eco sottile, fastidiosa, ma dispersa tra miliardi di eco
istantanee e per questo identica a tutte le altre. Annullata e dozzinale non
nel suo contenuto ma nel suo essere fluidificata e miscelata al resto. Le voci
non si alzano, le idee non hanno il tempo di formarsi e distinguersi perché l’istantaneità
e la contemporaneità di altre migliaia di migliaia le affogano e le diluiscono
in un tutto macerante. Forse il primo esempio ecologico di stoccaggio di
rifiuti funzionante in modo globale.
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