In Verità

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mercoledì 6 marzo 2013

TASSONOMIE, OVVERO L’ITALIANITE



Buona parte della nostra capacità di giudizio e di analisi ci è offerta dal poter di “dar nomi” alle cose: di delineare concettualmente e linguisticamente un evento – storico o personale -, una emozione, un sentimento e così via. Non essendo uno strutturalista non mi imbarco in analisi profonde, anche poco utili allo scopo: ma è lapalissiano vedere come la definizione di qualcosa col tempo vada ad incidere sul valore che questo qualcosa assume.
Facciamo un esempio pratico: appena Berlusconi annunciò la sua famosa, quanto nefasta, discesa in campo nel 1994 si iniziò subito a parlare di “berlusconismo”, in pratica un periodo storico aveva già mostrato le sue credenziali definendosi prima ancora di iniziare. La comunicazione e la propaganda anticiparono e  delinearono il suo realizzarsi futuro ancor prima di nascere. Infatti Berlusconi non sapeva neanche con chi costruire questo scempio, chiese persino a Di Pietro di appoggiarlo in questo disegno tanto ridicolo quanto funesto e ignobile. Fatto sta, insomma, che grazie ai mezzi di comunicazione di ogni colore, critici o meno, simpatizzanti o dissacranti, e al passaparola mormorante nazionale alimentato da questi che si amplificava in ogni anfratto, dalle borse internazionali ai circoli di bocce, il berlusconismo divenne una realtà consolidata e ben radicata ancor prima di strutturarsi – se questa costruzione si sia mai realizzata o se proprio la sua densa fumosità l’ha resa ciò che è stata richiederebbe un discorso a parte. La definizione di un periodo, il nome storico attribuito, fanno tanto, delineano, annunciano, promettono, sia nella loro critica che nel loro accoglimento rappresentano già una realtà con cui fare i conti. Ciò che fino a un giorno prima non esisteva ora è qualcosa di ineluttabile, ed è inevitabile confrontarsi con essa. La marcia su Roma è avvenuta mediaticamente, in modo indolore e, addirittura, con il mellifluo assenso di tutti – se guardassimo quindi il fenomeno da questo punto di vista forse vedremmo una responsabilità generale, diffusa e ben distribuita in tutto il corpo sociale, politico e civile di questa curiosa nazione, non solo certo di coloro che hanno creduto e, ahimé, credono ancora a questa “definizione reale ma inconsistente” che ha reso ridicola la nostra storia recente.
Giochiamo di fantasia - la sola ricchezza che ci è rimasta - ed immaginiamo un giornalista, uno scrittore, un opinionista (anche queste figure spuntate come funghi sulla pelle martoriata e pruriginosa della storia italiana) che invece di coniare il termine berlusconismo, avesse utilizzato un nome più endemico, crudo, addirittura clinico… tipo “Berlusconite”; ebbene questa definizione, avrebbe non solo precorso i tempi, perché questo fenomeno è stato pandemico, una pandemia che a ben vedere ha corroso ed infettato ogni cellula della società. E’ Indubbio constatare che questa patologia ha abbassato le difese immunitarie della nostra già cagionevole collettività... attaccando, senza neanche un periodo di latenza, la cultura, i diritti fondamentali, da quello del lavoro a quello della salute, sino a compromettere persino la capacità di autodeterminazione dei singoli cittadini, continuamente martellati da una retorica bassa, povera, dove l’effetto era dato da una sostanza venerea e fumosa, una retorica dai contenuti nulli che ha intorpidito le menti, il cui linguaggio da pubblicità di biscotti ha fatto scuola ovunque, anche in quei consessi dove si pretendeva una resistenza e un’opposizione. Pian pianino – neanche tanto in fondo – anche chi era contro ragionava in modo infetto. Insomma, la Berlusconite prima di disossare il paese lo ha inebetito, aggredendolo con una sorta di sifilide collettiva che è cominciata con un episodio inquietante di scolo mai curato a dovere. Una società intera malata che non riconosce la sua patologia e che addirittura ne asseconda i sintomi è oramai da ritenersi cronicizzata.  E in questa demenza generale il morbo non può non trovare terreno fertile. Ancora prolifera e si riproduce, persino spacciandosi per farmaco, sentendosi così autorizzato ancora di più a violentare la sua cultura, le sue leggi, i suoi diritti e i suoi doveri, a sacrificare la sua stessa collettività in nome di uno scopo  inesistente, dettato da un patologico delirio.
Per quanto ci riempiamo la bocca di dissenso e lamenti non siamo coscienti della malattia, anzi c’è persino chi ritiene di esserne immune, credendo di non esser stato infettato solo perché non ha partecipato, perché è stato sempre contro e mai ha voluto avere contatti diretti con il morbo, fingendo di non sapere che il microbo viaggiava per vie aeree: attraverso onde, pubblicità, mezzi di comunicazione, stampa, palinsesti televisivi, strumenti di “distrazione di massa”. Mezzi che ad un tratto – non potendo più reggere l’illusione - ci hanno risvegliato in un mondo caotico, preoccupato, ansioso e in crisi… nel quale il livello culturale è misero, ridicolo, caricaturale, dove i diritti più elementari vengono a poco a poco negati e  quelli che ancora resistono sono addirittura “concessioni”, piaceri, elemosine che lo stato elargisce e per i quali dobbiamo persino ringraziare.
Una pandemia è una pandemia, ritenere che esistano degli eletti e degli immuni è forse già il sintomo di uno stadio avanzato dell’infezione.   La Berlusconite ha degenerato in Italianite.

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