In Verità

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martedì 20 novembre 2012

PRIMARE PD, OVVERO LA SINDROME DELL’ASSENZA



E’ ormai da vent’anni che si parla di crisi della sinistra, e sono vent’anni che la sinistra italiana arranca e sopravvive crogiolandosi nella sua depressione. Le primarie in vista non aiutano la fobica degente dell’ospedale politico italiano. Renzi ha una gran voce e una apparente rabbia che sembrano far reagire questo Bartleby all’italiana. Ma Renzi, volente o nolente, è cresciuto politicamente nel berlusconismo, nell’era dello slogan bulimico ed eccesivo, della demagogia spicciola e dozzinale messa in campo per attrarre, nel contempo, una classe medio-piccola - oramai cancellata - che immaginava di innalzarsi socialmente, e una classe operaia stanca e delusa dagli settanta, improvvisamente orfana di quella “base” comunista e sindacale che la identificava e la riconosceva – e che forse le ha negato il paradiso. Renzi è ovviamente inconsapevole della sua eredità genetico-politica che formalmente abiura e combatte – che tutti noi abiuriamo e combattiamo.
Renzi è quindi inadatto… per quanto – forse - armato di buone intenzioni. E’ inadatto perché demagogo, inadatto perché attacca senza una linea, inadatto perché cavalca insoddisfazioni senza canalizzarle in un programma e senza avere il coraggio di una vera scelta forte e per questo scomoda. Renzi è inadatto perché è un Robespierre edulcorato senza neanche una rivoluzione alle spalle. Ama tagliar teste perché il patibolo storico è la più semplice e sbrigativa forma di pubblicità e di consenso in una nazione esasperata.
Per motivi diametralmente opposti stupisce e delude anche la candidatura di Tabacci. Bruno Tabacci è una figura autorevole, di specchiata onestà – sino a prova contraria – , un politico di lungo corso, ma non è di sinistra. Tabacci è un popolare dal retaggio democristiano, ottimo burocrate ma non identificabile con il progressismo. L’ex deputato dell’Udc è il sintomo più evidente della crisi di identità della sinistra italiana: un’accolita di figure senza una storia comune, tenuta insieme solo dal nome ma dalle istanze caotiche e confuse. Tabacci – suo malgrado - è la dimostrazione evidente che la sinistra italiana non ha un’identità reale, ma una sostanza evanescente che tenta di solidificarsi ovunque trovi consenso. Non contano programmi e intenzioni, non esiste un’identità ma servono voti, ovunque questi possano nascondersi. Bruno Tabacci è un ottimo bacino di consensi che apre alla maggioranza centrista e pseudo cattolica degli aventi diritto.
Bersani sembra, dunque, la sola alternativa possibile; l’unico candidato in grado di rappresentare insieme tradizione e cambiamento. Sarebbe bello se fosse così, ma lo stesso Bersani patisce una ventennale crisi di identità, nella quale pasce e annaspa. Il male di Bersani è la ricerca di una coalizione nel mare nostrum capriccioso e atavicamente clientelare della nostra politica, e nel quale l’attuale segretario del Pd rischia di affogare. Bersani non si è preoccupato di creare un programma alternativo sul quale generare alleanze. Tenta inutilmente, come tutti gli altri – Vendola e Puppato inclusi –, di costruire una santa alleanza sulle personalità e non sui programmi. Questa è l’eredità trasversale lasciata nell’era delle comunicazioni dal berlusconismo: abbandonare contenuti e idee a favore di personalismi e di “ducismi" addolciti e moderni; non conta se dietro le persone ci sia il nulla o grandi idee – le cose si equivalgono – l’importante è che vi sia un’immagine, un totem, un costruito o reale carisma, ciò che conta è l’impatto mediatico di queste moderne statue di sale.     

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