In Verità

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lunedì 12 novembre 2012

L'ACCOLITA DEI GRIGI



Rivoli di fiele fanno sordi i miei passi sdruccioli. Mi giro e se sorrido graffio sguardi che danno la caccia a felicità smarrite. Ho pena delle caparbietà di principio,  delle ferite mostrate come medaglie, dei dolori cercati. Mi manca lo stupore, il gelo improvviso che fa viva la vita. Non nascondo questa assenza né faccio poesia con le intenzioni di chi la invoca senza averla mai incrociata. Troppi si aprono a morsi il cuore per darne merito alla vita. Mi altero solo di me stesso e non ho tempo per gli odi dei grigi. Non voglio il loro colore. Non ingoio la nebbia che spira dalla loro bocca. In me c’è l’antro di un rigattiere: vedo un pallone sospeso da vecchie bretelle arrugginite, pezzi di motore, due madonnine di gesso, l’icona di San Bartolomeo posata su un merletto giallo e polveroso. Metto ordine e qualcosa di dimenticato spunta sempre fuori… mi fermo e mi ci innamoro, gli cerco un posto e lascio tutto il resto. Cado in esilio da attenzione e stropiccio gli occhi ogni volta che metto il naso fuori… la luce del giorno mi stordisce di pienezza. E i grigi intanto hanno felici nausee e stanchezze, si lamentano orgogliosi della fatica del vivere, come se nessuno non sapesse che senza morirebbero. Se si fermassero la coscienza inizierebbe a far domande,  vedrebbero il loro filo delle Parche, sentirebbero la eco lontana dei canti delle Sirene che vollero ignorare. A testa in giù nella giara vuota cercano ciò che sanno di avere nelle tasche… si agitano, si agitano finché non scivola furtivo tintinnando nel fondo di creta spaccata… un mugolio liberatorio e infine orgogliosi e soddisfatti. Ora guardo nella mia baracca un vecchio bastone da passeggio e in cima ha la testa d’argento di un cane.  Ha troppi graffi e un alone di vecchio sul muso. Quanti passi pesanti ha sostenuto a quante porte ha bussato … e quanti guanti tenuti stretti in primavera gli hanno accarezzato la testa. Quanto fa paura la nostalgia! Come è temuto il rimpianto. Viviamo fuori, non vogliamo guardare le ferite dei giorni e preferiamo coprirle coi tagli dell’artificio. Quanti Sisifo illusi d’aver giocato Tanato baciano i piedi  indifferenti di Zeus quasi in cima. Tutto daccapo!     

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