Il preciso istante, un
precipitare sabbioso di sensazioni e consapevolezze pronte a dileguarsi mentre cambi posizione. Le punta
delle cose, il tremolio di fosforo bianco di un lampione, l’asfalto umido di
foschia appena dileguatasi. Tacchi alti
fanno tamburellar caviglie sul marciapiede e bocche fumose fanno la corte alla
notte. Un bicchiere in più per esser all’altezza della propria nostalgia. Un
male si soffoca in una risata e con una battuta che ha dietro le spalle
l’amarezza più profonda. Il maloxx mi
aspetta in un cassetto accanto a un libro di viaggi. La cura delle cose
e del silenzio mi restano nell’animo come una finzione, un gioco di luci
multicolori e il porto ha un odore salmastro di petrolio e mare. Incantarsi di
povertà, mendicare la più insignificante briciola di sensazione, un furto
improvviso alla maestà dell’indifferenza, una truffa ai danni del dominio
dell’insoddisfazione. Cautela… cautela una volta nel labirinto della cecità,
dell’animo immenso di ogni passante. Cautela tra le mie mani e nei miei occhi
in apparente dormiveglia. Cautela nel torpore dell’indifferenza ostentata che
evita una pozzanghera di fango e benzina. Giocare a campana con le anonime e
grigie piastre del marciapiede. Un altro giorno che si ruba alla morte cercando
di dimenticarla. Un altro ballo frenetico e disperato tra le braccia della
dimenticanza, di un oblio che manda in coma il tempo fino a quando non saremo
soli con noi stessi a fare i conti con lo specchio e i sogni! L’economia del
fiore che protegge il suo sottile stelo tra le crepe di un muro immerso in un
pugno di terra sporca e scrive al vento la sua superiorità sui miei passi. E un
randagio vecchio e stanco non regge; mi piscia sulle scarpe lasciandomi lì…
senza potergli far causa! Una passante timida e infreddolita sorride tenera con
occhi di madreperla e onice. Luminarie esagerate mi affollano la lucidità, stupefacenti
galvanici ad intermittenza incantano e intristiscono, riempiono e disturbano e
un cartone mosso dal vento mi fa da improvviso mantello. E un crescendo di
invadente inutilità mi veste come un albero di Natale e una ceramica nera,
egizia colma di kitsch la mia curiosità, il marmo eccessivo di un negozio
chiuso diventa il bazar dell’eccesso, dalla serranda vedo oggetti deformi e
oscuri, finti capitelli e teste di moro che reggono moccoli e frange dorate che
vestono di indecenza l’indecenza. Una donna mi affianca per osservare il paesaggio:
è colma, gonfia, giunonica: calze nere le gelano le cosce grosse e carnose e un
vestitino dorato le fa esplodere il petto. Una costellazione caotica di
brillantini le invadono un viso stuccato a dovere. “Prego infinita dea… è
arrivata nel suo olimpo!, tra i suoi eroi di plastica lucida e Zeus sparsi di
marmo dorato. Puttini soffianti aggrappati sugli specchi la salutano con occhi senza
pupille e ali senza corpi. E’ disteso in nome della sua grazia un tappeto
porpora e argento che cullerà i suoi piedi a venti centimetri da terra.” Il caso mi ha fatto viaggiare nello splendore
delle sue braccia scoperte… spesse e ondeggianti, avvolte da una pelliccia bionda
dove i suoi capelli ossigenati a tratti sconfinano come disertori! Mi accendo
una sigaretta e digerisco questo pasto pesante degli occhi. Mi serve il mare
adesso!
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