In Verità

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giovedì 11 ottobre 2012

DE TARALLO!



Approfittare dei miei neuroni influenzati significa potermi concedere qualche annotazione surreale, onirica, intima … pressoché folle. E poche cose occupano la mia fantasia malata più dell’immagine del tarallo. Signori il tarallo è onomatopeico, simpatico, discreto, poco salato, può avere tracce misurate di finocchietto, albume d’uovo, peperoncino, sugna, pepe, naspro e semi d’anice. Il suo nome suscita nel contempo un’originaria e saziante frugalità e indefinite possibilità di aggettivazioni.  Il tarallo è arabo, centro-meridional-mediorientale, ha venature desertiche, marziane, solchi, morbide e antiche tracce di precottura – prima poteva scorrervi acqua.  Non è un cerchio perfetto, eppure ha qualcosa di cosmico: somiglia a galassie, buchi neri, nebulose… Lo si può spezzare solo in modo sacrale, come il pane dell’Ultima Cena o, in alternativa, prendendolo a cazzotti sul tavolo facendo schizzare schegge asciutte in ogni direzione come un piccolo Big Bang! Il Tarallo è discreto in origine ma sembra un Puple Pums del più raffinato Braque  quando è immerso in una caponata d’olio, pomodori e verdure di contorno. Il tarallo è italiano! Somiglia a una manovra finanziaria: per quanto vuoi girarlo e rigirarlo il buco non si colma mai… e il culo a tarallo lo fanno a tutti i cittadini solo per spirito imitativo, per farci sentire partecipi di questa sobria eccellenza. Il Tarallo è furbo, è politicante dalla nascita, non ha colore, non ha idee, è sciapo, asciutto e magro come i personaggi che temeva il Cesare di Shakespeare: è un Cassio, un Casca… che brandiscono la lama solo in branco! Il tarallo è furbo, non è nessuno da solo, ma riempie come accompagnamento. Lascia la bocca arida e triste di sete se non c’è qualcosa che riesce a mandarlo giù. Un vermiglio vino, un po’ di formaggio, una pera, e se proprio vogliamo strafare possiamo adagiare il tutto su un tovagliolo di panno a quadri rossi e bianchi! Tutto e niente, vuoto e pieno. Inutile ma saziante, prende acqua nella pancia e diventa un salvagente. E’ una mazzetta, un favore interessato, una piaggeria. Non ha senso in sé se non ha scopo altro. Nulla di più italiano di un tarallo! Già le evoluzioni e digressioni sul tema ci ricordano e ci rimandano alla sua origine. Il napoletano Roccocò ad esempio; per quanto dolce è cementizio! Ha una superficie lucida e vulcanica, nel contempo frastagliata e invitante, spigolosa nei margini ma allettante nel corpo, tagliente e rassicurante allo sguardo; insomma... un ossimoro della pasticceria regionale! E’ manieristico, duro, spacca i denti e lascia al fondo della lingua un sapore amarognolo mentre in punta sentiamo la stucchevole esagerazione del miele. Come evoluzione è solo volgarmente più affettata, provocante come una navigata ed esperta meretrice, piena, maliziosamente materna e giunonica allo sguardo ma di  roccia al tatto e al morso… ti addolcisce in superficie e t’abbandona nella digestione. Anche questo dolce è una premura interessata, chiede il conto e non solo al dentista, sembra voglia allattarti nel guardarlo e poi ti ritrovi con una betoniera a pieno regime in bocca. Anche questo prodotto devozionale del Convento della Maddalena è improponibile da solo; si bagna generalmente nel Marsala o, volendo, nel Vermouth. La nostra glicemia non ringrazia, la nostra fame non ha soddisfazione, il nostro stomaco non prova un piacere eccelso. Ma il Tarallo e i suoi derivati restano lì, come degli Odradek pronti ad essere riconosciuti e utilizzati nei momenti di magra, di fame spicciola e frugale. Pronti ad assolvere ad un compito istantaneo ma essenziale, non soddisfacente ma sbrigativo. Rovistiamo nella dispensa vuota e li troviamo sempre lì, tristi come la fame ma sornioni si guardano intorno insieme a te e vedendo il nulla cominciano a prenderti in giro ridendo sotto i loro favoriti al finocchietto, quasi come se volessero dirti: "giri e rigiri sempre da me vieni!"

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