Noi abbiamo giornalisti
del tutto particolari, per nulla originali ma in compenso estremamente divertenti. Fin quando
lavorano senza farsi tentare dalla bianche poltrone di Porta a Porta o dalla
proposta di una direzione capziosa da parte di un editore interessato a
sconvolgere i fatti – l’unica a cui certi soggetti possano onestamente ambire –
i membri del nostro “quarto potere” mantengono ancora pallide tracce di umano
buon senso, ma appena cedono a queste livide lusinghe precipitano nel più bieco
mercimonio del fazioso spacciato per notizia. La contraffazione è presto
giustificata e attuata; quando i fatti nudi e crudi arrivano alle loro menti –
opportunamente addolcite e indirizzate da lauti stipendi – si prestano alla
sottile violenza dell’interpretazione di parte, trasformandosi così in
un’entità meno solida, più malleabile e flebile, cioè in un’opinione: elemento
che, per interessata e strumentale convenienza, ha perso ogni solidità reale e -
per questo - alla completa mercé del loro giudizio interessato. Il giornalismo in Italia dice tutto ma ha
perso il vizio di dare notizie. Pochi ci dicono cosa succede ma quasi tutti ci
dicono cosa pensano di quel che è successo. Il giornalista incapace si è
inventato “opinionista” e, spesso, come nel caso di Sallusti, scrive anche
male.
Ad onor del vero
dobbiamo dire che giornalisti coscienziosi ce ne sono – e spesso sono quelli
che non hanno contratti stabili e non sono tutelati dalle loro testate inondate
a pioggia da soldi pubblici. Bisogna anche ricordare che nella nostra storia abbiamo
avuto dei veri e propri mostri sacri. Figure dallo stile inimitabile col solo
ed imperdonabile difetto di aver lasciato ai posteri solo mostri
curricularmente autorizzati far scempio della libertà d’espressione. Ricordo
che prima della morte di Montanelli nessuno si azzardava – giustamente – a
definirsi suo allievo, ma appena il “Grande Vecchio” passò a miglior vita i
suoi presunti eredi si sono moltiplicati come funghi. Montanelli sembra aver
lasciato più allievi che articoli: tra gli eredi più noti spiccano il succitato Sallusti, il dossierista Belpietro, gli agguerriti Gomez e Travaglio,
l’elegante Servegnini, fino a giungere a Vittorio Feltri… una vera eminenza
grigia del giornalismo italiano. Un direttore con la “Berlusconi” maiuscola,
anche se non ai livelli di Maurizio Belpietro o Giuliano Ferrara - nel loro
caso dovremmo scomodare il “cubitale”. Un ottimo scrittore c’è da dire… abitato
un tale sentimento di reverenza nei confronti del maestro da spingerlo ad
imitarne i gesti e i modi ma, ahinoi, non lo stile e l’imparzialità.
Proprio Vittorio Feltri
si è resto protagonista nei giorni scorsi di una vera e propria “caduta di
stile” su Twitter, come se non bastassero i “coloriti quanto inutili ed
eccessivi” titoli che inventa per il Giornale. Infatti nel commentare la morte
del regista Lizzani, il buon Feltri ha testualmente scritto sul popolare social
network: “Lizzani si è lanciato dal
terzo piano. Monicelli dal nono. Il che dimostra la differenza di livello fra i due anche nel suicidio.”
Il direttore del Giornale ha voluto fare a freddo una facile quanto infelice
battuta sarcastica, tristemente deglutita dall’orrido, o - nella sua oramai
patologica, irrecuperabile e cronica smania di protagonismo - si è
semplicemente bevuto il cervello? Ho sempre creduto che ci mettesse tabacco in
quella pipa di scena perennemente spenta… ora devo ricredermi e farmi dare il
nome del suo spacciatore per denunciarlo, perché tratta roba tagliata proprio
male! Feltri crede davvero di volare
così in alto nel cielo della cultura da poter esprimere un giudizio di merito
sulle vite e le opere di personalità del calibro di Lizzani e Monicelli? A
questo punto candidiamo Razzi e Scilipoti al Nobel per la letteratura, diamo
una cattedra di lingua e letteratura inglese ad Oxford alla Biancofiore,
mettiamo il carro della Barilla alla testa del prossimo Gay Pride!
Ma anche i giornalisti
di dichiarata, quanto sedicente e millantata, vocazione riformista non seguono
di certo le orme di Antonio Gramsci e Giorgio Bocca. A ricordarcelo è il
borioso giornalista, blogger, ed ex deputato del Pd Mario Adinolfi, il quale -
sempre su Twitter - così commenta una
manifestazione contro la camorra nella Terra dei Fuochi: “Si sono fatti devastare tacendo dalla camorra, che ha interrato
rifiuti, ora fanno le manifestazioni. Che popolo di merda.” Partiamo dal
presupposto che nella preposizione del giornalista manca il soggetto: “si sono fatti devastare” chi? Dov’è il
soggetto? Lo avrà devastato lui prima di scriverlo? E non pago insiste: “ora fanno le manifestazioni.” Chi??? Ti
prego Adinolfi non tenerti i soggetti sul groppone altrimenti ti viene una
sincope! Urlali, gridali ai quattro venti, se proprio non ce la fai sussurrali,
sottintedili ma non lasciarli morire nell'assenza! “tacendo dalla camorra” poi… davvero non
si può sentire! Correggendo l’obbrobrio “alla Carlona” il geniaccio avrebbe
dovuto scrivere: “Ora si manifesta quando
per anni si è taciuto mentre la camorra devastava interrando rifiuti. Che popolo di merda!” Sintatticamente
decente e sarebbe rimasto nei 140 caratteri senza mozzicare gli spazi.
Anche qui c’è da
restare perplessi… saranno almeno vent’anni anni che Adinolfi degusta mozzarella alla diossina. Roma non è
poi così lontana e i prodotti del casertano spadroneggiano nella capitale: dal
pane dei forni della camorra alla verdura che cresce rigogliosa e deformata
sotto i fusti delle aziende chimiche del nord, smaltiti criminosamente a prezzo
di costo col placet di tutti. Adinolfi davvero crede che quello che accade a pochi
chilometri da casa sua non lo riguardi a tal punto da snobbare ed insultare gli
abitanti di quelle terre e fingere che un fenomeno noto da anni arrivi alle sue
orecchie solo adesso? Che razza di giornalista è Mario Adinolfi? Un opinionista
a tiratura condominiale? E’ specializzato esclusivamente sulle radiocronache dell’amministratore
che ritira le quote millesimali mensili? “Stamani non è arrivata la Fulgida a pulire
le scale… è scandalo rifiuti!”
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