L’istinto
di sopravvivenza è tra i comportamenti più atavici e radicati che possediamo. E’
indelebile, profondo… e nella vita moderna spesso parte da solo… senza una
reale motivazione. Scatta d’improvviso… ad esempio: se siamo degli operai che
si stanno smazzando dalle sei del mattino, e veniamo martoriati dall’anzianotto
che osserva i lavori in corso da una mezz’ora… e che ci dice come dobbiamo
lavorare e dove scavare, ci viene da pensare che attenti alla nostra incolumità…
e sentiamo l’ineluttabile esigenza di lavorarcelo col martello pneumatico,
rifinirlo a picconate… e poi giù a cazzuolate di stucco per ringiovanirlo –
Chissà se Silvio ha un muratore di fiducia!
Ovviamente
col progresso e l’evoluzione anche questo istinto limbico tende a modificarsi.
Nel profondo resta identico ma deve emergere in un modo diverso, diciamo più
civile; deve insomma adattarsi alla vita sociale. Quindi l’istinto di
sopravvivenza sgorga in modo “apparentemente” edulcorato e moderno,
mascherandosi da “Istinto di Convenienza!”
La
famosa giungla d’asfalto degli anni settanta diventa il campo di battaglia del “sopravviver
comune”. Siamo civili, promotori dei diritti e del rispetto delle minoranze… ma
sotto sotto il mors tua vita mea resta identico.
L’istinto
di convenienza è subdolo, ipocrita, sorridente: ascolta tutti ma bada a stesso.
Sulla carta siamo tutti uguali e sbandiera eguaglianza da tutti i gangli della
materia grigia addomesticata… però – c’è sempre un però -, dove può grattare ci lavora alacremente anche
con le unghie. Guarda al proprio interesse – che sia economico o sociale,
lavorativo o intellettuale – con nevrotica famelicità. Qui in Italia sentiamo
dire spesso che “guardarsi il proprio” è un atto di intelligenza, di acume…
identifichiamo con interessata nonchalance l’intelligenza con la furbizia. E
anche se pubblicamente condanniamo i vari furbetti del quartierino, denunciamo
pubblicamente il loro agire, sentiamo dentro un inarrestabile e intimo moto di
invidia profonda che ci spacca in due: da un lato sapere che socialmente sono
un cancro, dall’altro la sconveniente sensazione di credere che “ci han saputo
fare, che è gente dritta, che si è realizzata camminando sui diritti, sul
lavoro altrui, spesso anche sui cadaveri altrui.
Quando
l’imprenditore Piscicelli rideva al telefono soddisfatto e contento dopo il terremoto
in Abruzzo non fu solo una bestia… ma anche un “fesso”. Un fesso perché non fu
in grado di armarsi di furbizia e restare in silenzio vedendo le prospettive di
speculazione e di guadagno dopo la catastrofe. Ecco il lato oscuro del nostro
istinto di convenienza – quello che in fondo ci ha fatto pensare per sessant’anni
che Andreotti fosse un genio, del male… ma un genio! Uno che ci sapeva fare,
che aveva mani in pasta ovunque ma con stile e per questo degno di ammirazione
e timore. Intimamente ammiriamo e imitiamo chi “sa guardarsi la castagna” anche
col fiele, anche con l’associazione a delinquere, anche a discapito del viver
civile e dei diritti altrui. L’istinto di convenienza, che lo si possegga o -
semplicemente - lo si desideri è una chimera, una medaglia sul petto dei furbi,
di chi ci sa fare… di chi è migliore e comanda in questa giungla d’asfalto –
gentilmente costruita dalle mafie a costi esorbitanti, anche se con data di
scadenza. Sui cartelli dell’ Anas dovrebbe esserci scritto: “Ce ne sbattiamo del
disagio speculiamo per noi!”
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